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La storia della palla: tutto cominciò col baseball…
ATTREZZATURA

La storia della palla: tutto cominciò col baseball…

Pritchard e Bell cominciarono con una wiffle ball, poi si preferì la Cosom Fun Ball, quella usata per gli allenamenti nel baseball. E un ingegnere in pensione, Bob Unetich, ha fondato una società dal nome promettente per ammortizzare i decibel: la Pickleball Sound Mitigation


La prima palla da pickleball, se la versione raccontata è corretta oltreché effettivamente verosimile, è stata una wiffle ball. A noi italiani, salvo sparuti appassionati, non dice nulla ed è normale sia così: si tratta di una sfera di plastica usata per una delle tante imitazioni del baseball, appunto il wiffle-ball. Una variante soffice dello storico gioco con mazza e palla di cuoio, in cui sia l’attrezzo sia il mezzo volante sono fatti di plastica. La cosa ci interessa perché questo è ciò che gli inventori del nostro sport, i signori Pritchard e Bell, hanno raccontato per spiegare al mondo come mai il pickleball si gioca con quella cosa colorata coi buchi il cui suono, all’impatto, sembrerà familiare a chi ha giocato molto a tennis tavolo.

In quei primi tentativi fatti nel giardino di casa negli anni Sessanta, i fondatori avevano sistemato la rete all’altezza di quella del badminton – in fondo, giocavano su un campo da badminton – ma, sperimentando varie soluzioni a diverse altezze e anche altri tipi di palla di plastica, si resero conto che la combinazione più divertente per quello strano gioco che stava prendendo forma era quella di una rete appoggiata a terra e la possibilità di far rimbalzare la palla, senza dover per forza colpire di volo come nei primi scambi giocati tra loro. 91 centimetri di altezza da terra ai lati e 86 al centro: quasi come il tennis, che ha 91 centimetri al centro a un metro e 7 centimetri ai lati. Una scelta dettata dalla praticità: la rete tendeva ad afflosciarsi e l’unità di misura più semplice da adottare per riassestarla erano i fianchi di mr. Pritchard: appunto, 91 centimetri. Dopodiché, Pritchard e Bell tentarono variazioni sulla palla stessa, purché fosse di plastica perché quella del tennis era troppo rapida per un campo così piccolo, e si accorsero che quella capace di restituire i risultati migliori era una Cosom Fun Ball, altro nome a noialtri ostico e che identifica null’altro che la palla di plastica rigida usata per gli allenamenti nel baseball.

Nel pickleball esistono due versioni di palla, quelle per campi indoor e quelle per campi all’aperto. Al coperto, la palla giusta per il pickleball è più leggera, ha una minore quantità di buchi (di solito 26) e i buchi stessi sono più larghi del 40% rispetto alla palla per esterni. Per il gioco outdoor, invece, la palla è più pesante, con buchi in quantità maggiore (solitamente 40) ma di dimensione ridotta, per adattarsi meglio alle condizioni di gioco. La spiegazione è scientifica: all’aperto, la palla deve essere più resistente e dura, reagire meno al vento e, mediamente, sopportare impatti e attriti con terreni più rugosi e compatti. Meno superficie aperta, meno aria che passa, meno sensibilità alle folate. Attenzione: non è che sia proibito usare palle da indoor all’esterno e viceversa: ma se, tutto sommato, usare al coperto una palla destinata al gioco all’aperto è fattibile, viceversa non è una buona idea usare una palla da indoor all’aperto, soprattutto in caso di vento, perché renderebbe i rimbalzi e le traiettorie, molto complicate da gestire.

«Tra i primi avventori c’era tale Dick Brown, un omaccione di un metro e 93. In un attimo, si buttava a rete per chiudere qualsiasi colpo con violenza, col naso appiccicato al net. Bisognava trovare una soluzione…»

A seconda della mescola usata, le palle possono essere più, diciamo così, spugnose o comunque soffici, oppure somigliare a pietre. Esiste una scala di durezza da 0 a 100 e i test hanno dato queste risultanze: la palla fabbricata in LDPE (polietilene a bassa densità) ha una durezza tra 40 e 50, quella in HDPE (polietilene ad alta densità) tra 60 e 70, quella in PP (polipropilene) tra 70 e 85 e quella in PET (polietilene tereftalato, la stessa resina usata per le bottiglie d’acqua) tra 85 e 95. Per evitare che si rompano con troppa frequenza, le palle sono uniformi e non due metà incollate. Nonostante la superficie non sia completamente liscia, né quella della palla né quella delle racchette, non è facile imprimere grandi effetti. Tuttavia, tecnicamente esistono sia il topspin sia il backspin, come nel tennis e nel padel, ed effettivamente una delle caratteristiche peculiari degli attrezzi da pickleball è proprio la maggiore e minore capacità di conferire spin alla palla.

Sulla palla da pickleball esiste un’aneddotica singolare: negli Stati Uniti, dove ci sono spazi riempiti con decine di campi contigui, è addirittura capitato che alcuni residenti promuovessero azioni legali per impedire il gioco, tanto risultava molesto il rumore. Effettivamente, si tratta di un suono secco, uno schiocco molto caratteristico che per chi gioca può anche essere piacevole, molto meno per quelli che vivono lì intorno e, magari, desiderano riposare o leggere un libro. Si vocifera, tuttavia, che sia allo studio una mescola di plastica che renda il suono della palla da pickleball più vellutato e simile a una palla da tennis o da padel. Un ingegnere in pensione, il signor Bob Unetich, dopo aver insegnato alla Carnegie Mellon (quella resa famosa nel mondo da Randy Pausch, l’autore della Last Lecture) ha fondato una società dal nome promettente, attualmente al lavoro su pareti antirumore, pale e palle che ammortizzino i decibel: la Pickleball Sound Mitigation. Non c’è bisogno di traduzione.


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