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Play-It, il futuro del pickleball è adesso

I tre campi del Santo Stefano Padel & Pickleball Club a Sandigliano (Biella)

IMPIANTI

Play-It, il futuro del pickleball è adesso

L’azienda fondata da Gianfranco Zanola è diventata leader nel tennis e ora si è affacciata in maniera determinata anche nel settore del pickleball. E ci ha spiegato, insieme alla figlia Laura, qual è la superficie ideale e quali sono gli errori da evitare


«Mio padre ci ha sempre visto lungo». Laura Zanola lo dice con una certa ammirazione, mentre spiega perché Play-It sta puntando forte sul pickleball. In realtà, il padre-fondatore di Play-It, Gianfranco, non ha dovuto travestirsi da Nostradamus per comprendere l’opportunità che si stava creando: il pickleball è esploso in terra americana dove ha sempre avuto notevoli contatti e si gioca su hard courts, cioè la superficie nella quale è leader in Italia da diversi anni nel principale sport di racchetta, il tennis. Il passaggio è stato naturale, con risvolti che sono in parte ancora da decifrare, ma con i primi riscontri che lasciano trasparire un certo ottimismo. E la consapevolezza che la sua family company ha la competenza e l’esperienza necessaria per garantire un prodotto e un servizio di alto livello.

Come è arrivata Play-It al pickleball?
Gianfranco. Essendo uno sport affine al tennis dove siamo presenti da tanti anni, è stata una naturale conseguenza visto che si gioca su campi in resina del tutto identici. Però rispetto al tennis è più facile da apprendere ed è molto coinvolgente. Queste caratteristiche ci fanno credere che possa diventare uno sport praticato da tanti appassionati, compreso chi fatica con la racchetta più lunga.

Laura. Mio padre è sempre stato un passo avanti ed è incuriosito dalle novità. Si era interessato anche al touch tennis ma col pickleball è un’altra storia perché è evidente che si sta sviluppando un certo interesse e il boom americano è una buona garanzia. Piace perché la palla è leggera e le racchette sono facili da manovrare e questo aiuta a imparare velocemente le basi per giocare.

Qual è la superficie ideale per il pickleball?
L. Come accaduto negli Stati Uniti, sostanzialmente si gioca solo su hard courts, i campi in resina. Noi abbiamo studiato una pavimentazione ad hoc, grazie a un tappetino di gomma da 6mm e quattro strati di resina che non influenzano il rimbalzo della palla, ma rendono più confortevole il gioco e gli spostamenti. Al contrario, non è adatta l’erba sintetica perché il rimbalzo della palla muore e nemmeno la terra rossa, anche se in maniera meno evidente. E poi i costi di manutenzione, che con la resina sono pressoché inesistenti, sono un ulteriore vantaggio.

Esiste un solo tipo di resina che si può utilizzare?G. Si tratta sempre di resine acriliche. Può variare il modo in cui vengono posate e la quantità di strati: due, tre, quattro… otto! In linea di principio, è la stessa pavimentazione utilizzata per il tennis che viene posata direttamente su basi in asfalto o con fondazioni in calcestruzzo. In quest’ultimo caso, consigliamo vivamente l’uso del nostro Play Flex Confort perché impedisce la formazione di fessurazioni in superficie dato che il materassino è molto elastico e controlla il movimento del calcestruzzo.
L. L’asfalto invece è un materiale più omogeneo, a meno che non sia già fessurato. Infatti, dove è passata la finitrice, possono formarsi fessure longitudinali che richiedono la presenza di un tappetino elastico, perché se la resina venisse applicata direttamente, le fessure ricomparirebbero dopo qualche mese.

I primi quattro campi a Oderzo (Treviso)

«Abbiamo studiato una pavimentazione ad hoc, con un tappetino di gomma da 6mm e quattro strati di resina che non influenzano il rimbalzo della palla, ma rendono più confortevole il gioco e gli spostamenti» Laura Zanola

Dunque, cambia qualcosa tra i campi in resina da tennis e pickleball?
G. Assolutamente niente. Anche questa è un’affinità tra i due sport che, per esempio, non esiste nel padel, dove regna l’erba sintetica. Almeno fin quando le federazioni non si apriranno anche ad altre superfici.

Quanti campi da pickleball si possono installare in uno da tennis?
L. Tre o quattro. Dobbiamo partire dal fatto che il pickleball non è ancora uno sport ufficialmente riconosciuto dal CIO e quindi dalle federazioni nazionali. In Italia, ufficiosamente rientra nel settore tennis ma in una zona grigia. Cosa vuol dire? Immaginiamo di dover trasformare un campo da tennis delle dimensioni classiche, 16×18 e 650 mq: si possono tranquillamente sistemare quattro campi da pickleball perché attualmente non c’è la necessità regolamentare di mantenere una certa distanza tra i campi. E così si può far avvicinare più persone a questo sport. Volendo invece rispettare le regole delle associazioni americane che indicano tre metri per lato, ci sarebbe spazio solo per tre campi. Noi consigliamo di partire con la soluzione dei quattro campi e, nel momento in cui fosse necessario, passare un paio di strati di resina e ridisegnare le righe per tre campi.

Invece cosa cambia tra campo indoor e outdoor?
L.
A livello di superficie, nulla. Semplicemente il campo indoor garantisce maggior continuità perché si può giocare 365 giorni l’anno. A livello di usura, è addirittura meglio il campo outdoor perché non c’è alcuna manutenzione dato che l’acqua lo pulisce e il vento porta via i residui di palline. Certo, anche indoor si tratta solo di pulirlo quando serve…

L’esibizione di Francesca Schiavone, Adriano Panatta, Flavia Pennetta e Paolo Bertolucci sui campi Play-It dell’Adriano Panatta Racquet Club di Trveiso

«Con una fondazione in calcestruzzo consigliamo vivamente l’uso del nostro Play Flex Confort perché impedisce la formazione di fessurazioni in superficie dato che il materassino è molto elastico e controlla il movimento del calcestruzzo» Gianfranco Zanola

Come inquadrare il movimento pickleball attuale?
G. È molto attivo. Riceviamo richieste quotidianamente, anche perché l’investimento è contenuto e c’è la possibilità di verifica: se non funziona, si può riconvertire l’area in campo da tennis. Però a livello di redditività, è normale che quattro campi da pickleball possano rendere di più di un campo da tennis.

Dunque, cosa serve affinché il pickleball possa funzionare all’interno di un club?
G. Bisogna costruire una community, senza aspettare che i giocatori ci cadano dentro, come accaduto col padel. E poi avere un buon maestro che coinvolga i frequentatori del club. A quel punto, creata l’opportunità, il resto viene naturale e i risultati, anche economici, sono soddisfacenti. Un esempio l’abbiamo vissuto a Oderzo dove abbiamo installato quattro campi in un istituto scolastico. Inizialmente previsti come alternativa alle lezioni di motoria, i ragazzi hanno cominciato a occuparli nelle ore scolastiche. Poi si sono aggiunti i loro genitori, quindi sono arrivati gli agonisti. Il risultato? Ci hanno chiesto altri quattro campi… Tutto ciò perché sono diventati il riferimento sportivo dell’intero paese e si è formata una community numerosa.

Qual è il numero minimo di campi che servono per creare questa community?
L. Due, meglio tre. Un campo solo sarebbe limitante perché impedirebbe di organizzare tornei, eventi e manifestazioni che invece sono l’anima di questo sport. La socialità recita un ruolo fondamentale ed è necessario consentire a un buon numero di persone di praticarlo. In realtà, l’ideale è installare quattro campi in modo da eventualmente riconvertirli in campo da tennis se i risultati non fossero soddisfacenti. Un’area 16×18 è l’ideale.

I campi del bellissimo President Club a Montechiarugolo (Parma)

«L’ideale è l’area di un campo da tennis dove si possono installare tre o quattro campi da pickleball, a seconda delle distanze che si desiderano tra i campi. E alla lunga, la qualità paga» Laura Zanola

Per essere soddisfatti a fine anno, quanti campi da pickleball dovreste aver installato?
G. Lo scorso anno abbiamo realizzato 54 campi, circa un quarto dei campi che dicono esserci in Italia. Quest’anno dovremmo crescere anche se è necessaria una certa selezione per abbracciare i progetti più interessanti. Senza considerare l’indotto, perché il pickleball porta lavoro nel tennis e viceversa. Come è naturale che sia, la torta verrà divisa tra diversi costruttori player del settore, senza considerare il proliferare del cosiddetto do it yourself, attività tipica negli Stati Uniti dove hanno un concetto dell’impianto sportivo più spartano e meno tecnico. In sostanza, c’è chi prepara il campo da solo, pittando con la vernice una base di asfalto. Fanno così per vedere la prima reazione dei clienti, ma è un cane che si morde la coda perché senza una struttura adeguata, non si può scoprire il reale interesse degli appassionati. Bisogna crederci e partire con un progetto solido.

Che rischio si corre con il do it yourself?
L.
Il padel è un buon esempio: al principio, tanti club hanno infilato un campo ovunque ci fosse spazio, senza curarsi troppo della qualità dei materiali e dell’installazione. Ora che il mercato è più maturo, i giocatori scelgono le strutture migliori e gli altri soffrono. Ecco, memori di quanto accaduto, un club dovrebbe puntare subito sulla qualità, per non farsi superare dalla futura concorrenza. Un esempio: abbiamo posato quattro campi in un circolo importante di Treviso e quello di fianco, che aveva preferito verniciarne uno da solo, ci ha subito chiamato per mettersi alla pari. Anche perché quando vengono posati male, si rischiano gli infortuni e i danni conseguenti.
G. Il do it yourself è comprensibile in una fase molto embrionale, ma appena il mercato cresce non ha molto senso ed è necessario adeguarsi alle esigenze dei giocatori. E nel pickleball, è già tempo di fare i campi come si deve, considerando anche l’investimento contenuto.


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