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Il mio primo torneo di Pickleball…
ON COURT EXPERIENCE

Il mio primo torneo di Pickleball…

Il Viento Future Lab al centro commerciale Merlata Bloom di Milano è stato teatro del mio esordio in un torneo di pickleball. Ecco cosa mi ha insegnato l’esperienza (e perché mi è torbata voglia di rigiocare)


Per il mio esordio in un torneo di pickeball volevo puntare in alto. Il Mi sento fortunato di Google aveva suggerito l’iscrizione al Pickleball Central Indoor Usa Championships, al 18425 di Dodd Blvd Lakelide, in Minnesota, una tappa del famigerato PPA Tour. Dopo aver salutato i santi di Larry Page e Sergey Brin, con l’umiltè concepita dal professor Sacchi ho optato per una scelta più comoda: da quando Gianfranco Zanola di Play-It ha accettato la proposta della famiglia Colla di infilare un campo da pickleball nella nuova luxury destination degli aficionados dei centri commerciali, il Viento Future Lab al Merlata Bloom è diventato lo spazio milanese più figo dove radunare nuovi appassionati di questo sport, che negli States ha coinvolto 32 milioni di persone l’anno scorso. I Colla hanno lanciato da un paio d’anni un brand Viento) che dal padel sta espandendosi in nuovi mondi e quindi, in un misto di genialità e follia, hanno messo in piedi una location da urlo. In un soleggiato sabato mattina milanese, ho passato un paio d’ore a colpire una palla di plastica bucata con una racchetta in carbonio, e questo è tutto ciò che ho imparato.

01. Il primo tizio che ho conosciuto è tale Owen, un ragazzotto della Virginia che studia alla Bocconi («Boconi bella, Milano cool, belle signorine», mi butta lì con un tale entusiasmo da farmi pensare che sia peggio vivere a Richmond). Sul campo si capisce che conosce il pickleball perché esegue i colpi secondo un manuale tecnico esteticamente rivedibile ma che dovrebbe risultare efficace. Soprattutto le volée, che scucchiaia dal basso, come stesse rovesciando la zuppa con un mestolo. Roba che Edberg inorridirebbe ma che in effetti produce maggior velocità. L’unico neo di Owen è che nessuna di questa soluzioni tecnicamente corrette ed esteticamente orrende finisce all’interno del campo. Mi ricorda un po’ gli inizi del padel, quando se incontravi un tizio che si chiamava Pedro Lopez pensavi di non avere la minima chance, prima di scoprire che non tirava una bandeja oltre la rete. Ecco, Owen è la conferma che non tutti gli americani per osmosi siano validi giocatori di pickleball.

02. Chi rema a tennis, rema a padel. Chi rema a padel, rema a pickleball. Un tratto comune che l’amico Gardella esemplifica in maniera perfetta. Però, più il campo si restringe, più diventa difficile. E capisci presto che il pickleball sarà pur nato per far muovere le chiappe dei vecchietti americani, ma che un certo grado di aggressività nei pressi della kitchen è doveroso. In ogni caso, appare chiaro che per divertirsi è necessario imparare gli schemi tipici di questo sport. Se pensi che il pickeball sia un tennis lavato a 60 gradi, sei sulla strada sbagliata.

    Info su Viento Future Lab e sul campo da pickleball: hello@vientopadel.com

    Owen esegue i colpi secondo un manuale tecnico esteticamente rivedibile ma che dovrebbe risultare efficace. Soprattutto le volée, che scucchiaia dal basso, come stesse rovesciando la zuppa con un mestolo.

    03. La barriera d’ingresso più alta non è imparare un dink, un APT, un erne. E nemmeno imparare il punteggio per il quale non servono studi matematici approfonditi. Il problema sta nelle posizioni: dove servire dopo un cambio di palla, da che lato rispondere dopo aver strappato il servizio. Nel tennis e nel padel è molto semplice: il lato di risposta è sempre quello, al servizio si cambia lato a ogni punto. Però qui non c’è un game da completare, servizio e risposta cambiano di padrone ogni momento. E senza che nemmeno il punteggio necessariamente cambi. Il meccanismo non è proprio intuitivo (o quantomeno mi ha consolato il fatto che il 90% dei presenti non avesse ben chiara la faccenda, sospetto nemmeno chi ha provato a spiegarla).

    04. La prima tattica che mi è parso di capire è che quando sei al servizio e non puoi scendere a rete, se ti arriva una risposta comoda, devi giocare un dink, cioè una palletta che rimbalzi poco dopo la rete, all’interno della kitchen, in modo che gli avversari non possano colpirla al volo. Un tennista la chiamerebbe pittino, un padelista, chiquita. È un colpo da seguire a rete per annullare il vantaggio della risposta. Se invece ti ritrovi in una qualche difficoltà, meglio un colpo teso, in attesa di una palla buona per giocare ‘sto dink e andare avanti. Perché a pickleball come a padel, vince chi conquista la rete. E il dink sta al pickleball come il lob e la chiquita al padel.

    05. Se vuoi che i veri giocatori di pickleball ti prendano sul serio, devi imparare lo slang: dink, erne, shake-‘n-bake, poach, stack. Non importi se ignori il significato (che comunque puoi scoprire qui)

    Se vuoi che i veri giocatori di pickleball ti prendano sul serio, devi imparare lo slang: dink, erne, shake-‘n-bake, poach, stack. Non importi se ignori il significato (che comunque puoi scoprire qui)

    06. Serve molto fair play perché senza un arbitro esperto, le violazioni (anche involontarie) del regolamento sono continue: per esempio, come accorgersi se l’avversario ha tirato una volée vincente calpestando la riga della kitchen? Vien difficile anche solo ricordarsi il punteggio perché non cambia alla fine di ogni scambio. Il buon senso degli americani è urlare lo score anche se si tratta di un semplice cambio palla. Nel tennis non succede mai di sbagliare il punteggio; nel padel accade qualche volta; nel pickleball c’è un contrattazione ogni quarto d’ora.

    07. Essere alti con lunghe leve aiuta. Cioè, se piazzo il mio 45.5 appena dietro la kitchen e allungo il braccio, arrivo a rete. Mi assicurano essere un vantaggio, anche se ancora non ho capito quale.

    08. In uno sport tecnicamente povero, bisogna essere strategicamente avveduti.

      Mi sono divertito al punto che oggi avrei rigiocato, a patto di trovare una location adeguata come il Viento Future Lab, una superficie che protegge le articolazioni come il Play Flex Confort e un americano della Virginia per cui vantarmi della vittoria.

      09. Il torneo l’ha vinto Davide Colla, il patron di Viento che da due mesi prende regolari lezioni da Tyson McGuffin e Colin Johns. Un sorteggio secretato come i documenti di Ustica, l’ha casualmente accoppiato a un tizio con un t-shirt sulla quale campeggiavano quattro scudetti tricolori e come salvaschermo del cellulare usa una foto mentre abbraccia Anna Leigh Waters. Inoltre, il buon Davide ha rivestito la sua racchetta con un carbonio dall’etichetta promettente, made in Cape Canaveral («È un nuovo prototipo di materiale che stiamo testando, non so nemmeno se funziona» ha provato a dire) e annunciato i punteggi  come fosse Oronzo Canà con gli schemi della sua Longobarda (3-5-2, 3-6-1, 3-8-3, che nemmeno esiste ma l’adrenalina tradisce). Alla fine ci ha sconfitti 15-13 con due net favorevoli, seguiti da un C’mooon beffardo. Lui vi racconterà un’altra storia, ma questa è la sacrosanta verità 😉

      10. Mi sono divertito al punto che oggi avrei rigiocato, a patto di trovare una location adeguata come il Viento Future Lab, una superficie che protegge le articolazioni come il Play Flex Confort e un americano della Virginia per cui vantarmi della vittoria. Perché appena azzecchi due schemi, ti riesce un APT o vinci la sparatoria che si crea sotto rete appena uno accelera, capisci la libidine di questo sport.

      Post scriptum: mi chiedevo se, dovendo impattare una palla di plastica bucata, avrei avvertito differenze tra le varie racchette. Ne ho provate tre e la diversa capacità di spinta era cristallina. Così come i vari modelli di palle sono tutto fuorché uguali, nonostante l’apparenza. C’è un mondo affascinante dietro la cetriolo-palla, che vale la pena di scoprire.


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